Alimentazione e Sport

DCA: Disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo – ARFID

Tra i disturbi del comportamento alimentare presenti nel DSM-V è citato anche il disturbo evitante/ restrittivo dell’assunzione di cibo. Solitamente insorge durante l’infanzia, ma può svilupparsi a qualsiasi età; infatti, diversi studi esprimono range di età variegati.

Viene inserito nel Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali solo nel 2013, sebbene fosse già una condizione riconosciuta e documentata come un comportamento neofobico verso il cibo e soprattutto verso i nuovi cibi.

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Come si fa a diagnosticare tale disturbo?

Secondo il DSM-V la diagnosi di ARFID si pone quando c’è un mancato raggiungimento delle proprie necessità nutrizionali e/o energetiche, tale da determinare una o più conseguenze:

  • Significativa perdita di peso o incapacità di raggiungere l’aumento di peso atteso (crescita ponderale normale dello sviluppo)
  • Carenza nutrizionale significativa
  • Dipendenza dall’alimentazione enterale o supplementi nutrizionali orali per mantenere il peso o lo stato nutrizionale
  • Marcata interferenza con il funzionamento psicosociale

I comportamenti restrittivi influenzano notevolmente la vita sociale dell’individuo, il suo stato d’animo, le sue condizioni mediche e fisiche ed è bene evidenziare come, alla base di tale restrizione e/o evitamento, non ci sia una volontà di perdita di peso o una insoddisfazione per le proprie forme corporee.

Nell’ARFID sono stati proposti tre sottotipi:

  • Apparente mancanza di interesse per il mangiare o per il cibo a causa di difficoltà emotive come preoccupazioni, ansia o tristezza.
  • Preoccupazione relativa alle conseguenze negative del mangiare dovuta alla paura di soffocare, vomitare o stare male.
  • Evitamento sensoriale del cibo, legato alle caratteristiche sensoriali del cibo come l’aspetto, la consistenza, l’odore, la temperatura, il colore Si evitano alcuni alimenti perché, in anticipo,si pensa di non tollerare certe caratteristiche.

In molti casi questa forma di alimentazione selettiva si risolve spontaneamente nell’adolescenza, quando la pressione dei pari si associa ad un allargamento della varietà dei cibi assunti.

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Terapia

Ad oggi diversi tipi di percorsi di cura per il trattamento dei molteplici profili di ARFID sono stati messi in atto ed altri sono ancora in fase di sperimentazione.

Sicuramente di fondamentale importanza è saper discriminare tra un comportamento alimentare selettivo definito “picky eating”, che tende a migliorare e risolversi con la crescita del bambino, da un vero e proprio disturbo di ARFID strutturato che persiste nel tempo e che compromette seriamente lo sviluppo fisico e cognitivo del bambino.

Come per tutti i DCA, anche per ARFID è necessario un approccio terapeutico multidisciplinare integrato affidato a diversi tipi di figure cliniche specializzate. Nei casi più gravi di malnutrizione è richiesta la nutrizione enterale o la supplementazione con ONS, sempre associati alla terapia cognitivo comportamentale, di cui è stata implementata una forma specifica per ARFID (CBT-AR).

Per i quadri clinici di avversione sensoriale è stato testato un programma terapeutico di integrazione sensoriale e di desensibilizzazione orale affidato a terapisti occupazionali, mentre i casi di comorbidità psichiatriche più o meno gravi o a condizioni organiche specifiche sono affidati a specialisti appositamente formati.

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In quest’ottica il ruolo del nutrizionista può essere fondamentale sia in caso di sospetto o conclamato disturbo alimentare, intervenendo ai primi segnali di disagio e rifiuto persistenti del bambino nei confronti del cibo con un appropriato intervento di riabilitazione nutrizionale, sia in fase di prevenzione attraverso un percorso di educazione alimentare e di sostegno alla famiglia.

Dott.ssa Martina Rella – Dietista

BIBLIOGRAFIA

Messaggio al lettore: Ogni informazione presente in questo blog è puramente a scopo informativo. Non si intende in nessun modo sostituire figure professionali in campo medico e di consulenza.

Psicologia del Benessere

Shopping terapeutico: il benessere che si cela dietro ad un acquisto

Quella voglia e quel desiderio improvviso di andare a fare shopping… quel senso di pace e soddisfazione dopo aver acquistato qualcosa, soprattutto se un indumento personale… quel senso di benessere che ci fa pensare e dire: “adesso sto proprio bene!”

In quest’articolo, vi parlerò dello Shopping Terapeutico e dei suoi benefici sulla nostra sfera emozionale.

A proposito! Se vuoi saperne di più sul “mio mondo” puoi trovarmi sui social network (Instagram) con il nome @iamfrancescoangotti. Passa a visitare il mio profilo e seguimi, sarò felice di ricambiare con piacere!

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Lo shopping: cos’è?

Lo shopping, ossia, il compiere degli acquisti, è una pratica ormai facente parte regolarmente e con altissima frequenza nella nostra quotidianità.

Le nostre abitudini, che siano poste attraverso il tempo dedicato al lavoro o al tempo dedicato allo svago, prevedono al loro interno, delle frazioni temporali dedicate agli acquisti, di qualcosa che vada a soddisfare le necessità personali di quel preciso istante nel quale ne sentiamo il bisogno: dal caffè, alla bevanda fresca, all’acquisto di un libro che ha suscitato la nostra attenzione, all’acquisto di un pacchetto vacanze per la propria settimana di ferie e così via.

Inconsapevolmente o forse non troppo, utilizziamo gli acquisti, come appiglio per soddisfare dei bisogni, che sulla base del grado di necessità vengono suddivisi su scala prioritaria in relazione al grado di soddisfacimento che ne consegue, proprio come suggerisce Maslow nella sua teoria gerarchica dei bisogni, sulla quale presto farò un articolo, perciò, ti invito nel voler continuare a seguirmi e seguire Pharmaddicted!

Ma perché può essere terapeutico lo shopping?

Purché non diventi compulsivo, vari studi e ricerche confermano che ricorrere allo shopping, sia un vero e proprio toccasana per il benessere psicofisico di un individuo. Inoltre, vi sono delle relazioni benefiche tra il miglioramento della propria autostima, l’abbassamento dei livelli di ansia con il ricorrere regolarmente e secondo necessità reali, all’effettuare delle compere, o perlomeno dedicare del tempo a badare alle proprie esigenze.

Un curioso studio, condotto dall’Università di Michigan, ha dimostrato come le persone che cedano alla tentazione di ricorrere a degli acquisti, rispetto ad altre che resistano allo stimolo suscitato ad esempio da qualche vetrina, siano più felici e meno stressate rispetto al secondo gruppo. Perciò, lo shopping ha benefici anche sul nostro umore, specialmente se vi si ricorre nelle cosiddette “giornate no”!

Perché è utile distinguerlo dallo shopping compulsivo

È risaputo che è sempre bene stare lontani dagli eccessi. Il giusto sta nel mezzo. Il beneficio terapeutico lo si ottiene quando, lo shopping, viene utilizzato come forma di svago ed attività con la quale si può staccare la spina dei pensieri, dalla quotidianità che a causa dei ritmi frenetici e ci espone frequentemente a fonti di stress. Ma allo stesso tempo, lo shopping non assume più le vesti di una ricorrenza terapeutica e benefica, nei casi in cui, ricorrere a degli acquisti diventa una necessità, un desiderio urgente ed irrefrenabile.

In merito a ciò esistono dei campanelli d’allarme, posti dal nostro organismo ma anche in termini di atteggiamenti, che se saputi cogliere, ci avvisano d’eventuali esagerazioni. Vediamo quali sono i più frequenti:

  • La sensazione che un nuovo acquisto sia fortemente necessario;
  • Provare invidia per oggetti appartenenti ad altre persone;
  • Pensare sempre allo shopping anche mentre si sta facendo altro;
  • Sforare continuamente il budget preventivamente posto.

Cosa dobbiamo imparare

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Impariamo a sensibilizzare la nostra attenzione, nel cercare di cogliere quali tipi di sensazioni e segnali giungano dal nostro interno. Cerchiamo di creare unione, tra quello che pensiamo di volere e quello che vogliamo. Ritroviamo l’equilibrio e cerchiamo di mantenerlo, facendo forza sulle relazioni ed il confronto, con le persone alle quali vogliamo bene e che ci vogliono bene. La retta via è sempre pronta ad accoglierci, sta a noi perseguirla, anche nel caso dello shopping!

A presto, con i prossimi articoli!

Dottor Francesco Angotti – Scrittore e professionista in ambito economico

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Cosmesi e Cosmeceutica

Acqua micellare: le 3 caratteristiche principali!

L’acqua micellare, sebbene sia nata più di 100 anni fa, attualmente ha destato un nuovo interesse sul mercato. Questo rinnovato interesse è dovuto non solo alla sua semplicità formulativa, ma anche ad una richiesta da parte dei consumatori di una skin-care più veloce e semplice.

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Quando nasce l’acqua micellare?

Da alcune fonti, pare che l’acqua micellare sia nata in Francia nei primi del ‘900. Le farmacie francesi svilupparono questo tipo di prodotto per assecondare le richieste delle donne parigine, che non sempre avevano acqua corrente a disposizione, infatti nei primi del’900 non sempre vi era in casa un bagno, di avere a disposizione qualcosa che le aiutasse nella detersione del viso in modo delicato e che rispettasse i lipidi cutanei. Diversi anni dopo, Jean-Noel Thorel, è stato indicato come il primo creatore/formulatore dell’acqua micellare.

L’ acqua micellare, negli anni ‘90, ritrova il suo successo grazie ai make-up artists. Essi, infatti avevano la necessità di usare un prodotto che rispettasse la pelle (non irritandola) e che fosse efficace nel rimuovere il trucco delle modelle durante le sfilate in modo da essere nuovamente pronte per una nuova sessione di make-up.

Attualmente, l’acqua micellare, è molto usata soprattutto perché è in grado di rimuovere tutto lo sporco, il sebo ed il make-up, anche il più resistente in modo estremamente delicato rispettando il pH cutaneo ed il suo film idrolipidico, lasciando sulla pelle una sensazione di freschezza e di pulizia.

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Ma cos’è l’acqua micellare?

L’acqua micellare è una soluzione di acqua altamente purificata di grado farmacologico, che risponde a precisi parametri chimico-fisici quali sterilità e apirogenicità a cui vengono aggiunti dei tensioattivi molto delicati e che, ad opportuna concentrazione detta CMC (Concentrazione Micellare Critica) si aggregano formando le micelle.

La parola micella deriva dal latino mica=granello ed è stata usata per la prima volta da Karl Wilhelm von Nageli nel 1858 per descrivere gli aggregati di amido e cellulosa che si formavano in acqua.

McBain usò la stessa parola per indicare gli aggregati che si formavano spontaneamente
tra i tensioattivi. Quindi, nel 1936, G.S. Hartley affermò che le micelle formate dai tensioattivi fossero sferiche e ponessero le parti idrofobiche all’interno della sferetta e le parti idrofile a contatto con l’acqua nella parte esterna della sferetta. Attualmente, sappiamo che le micelle possono avere diverse forme e dimensioni.

Formulando un’ acqua micellare oltre all’acqua ed ai tensioattivi vengono aggiunte diverse altre sostanze a vario titolo intervengono per migliorare la formula, per renderla più stabile, per preservarla e per aggiungere attivi utili per i diversi tipi di pelle.

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Per quali tipi di pelle è consigliata l’acqua micellare?

Come abbiamo visto, la sua nascita è dovuta soprattutto per rispondere ad una richiesta di un prodotto delicato, che fosse ideale per le pelli sensibili. Difatti, questa è una delle principali caratteristiche ricercate quando si acquista questo tipo di prodotto.

Negli anni, con il miglioramento delle formule, è stato possibile aggiungere attivi che fossero idonei per le pelli secche/molto secche, ma anche attivi ottimi per le pelli miste e per le pelli tendenti all’acne.

Per le pelli acneiche, tuttavia, i dermatologi consigliano di far seguire, all’uso dell’acqua micellare, un detergente di tipo tradizionale idoneo per questo tipo di problematica.

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Quali sono le caratteristiche principali di un’acqua micellare?

L’acqua micellare presenta tre caratteristiche principali:

  • Forma micelle grazie alla presenza di tensioattivi inseriti in precise concentrazioni, questo permette al prodotto di solubilizzare ed emulsionare lo sporco o il sebo sulla nostra pelle.
  • Ha un’azione detergente delicata sulla pelle ed è capace di lasciarla idratata e fresca rispettandone Ph.
  • Non sempre è necessario risciacquarla dopo l’uso ed è sicuramente il gesto di detergenza più idoneo per le pelli sensibili, ma può essere usata anche dalle pelli secche e miste, scegliendo le opportune formulazioni.

Grazie a queste sue caratteristiche, unite ad una formula semplice e leggera, si comprende il rinnovato interesse del mercato per questo tipo di prodotto che risulta essere contemporaneamente elegante e funzionale.

Dott.ssa Barbara Frisoli– Farmacista

BIBLIOGRAFIA

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Alimentazione e Sport

Alche che’??? Alchechengi.

Mai sentito parlare dell’Alchechengi? Si tratta di una pianta di origine orientale le cui bacche arancioni hanno una forma molto caratteristica, avvolte da un involucro particolare che le rende simili ad una piccola lanterna.

L’Alchechengi è il frutto della pianta Physalis alkekengi che appartiene alla famiglia delle Solanacee. Assomigliano un po’ a dei pomodorini in un involucro costituito da foglie molto sottili che gli danno il caratteristico aspetto di lanterne, vengono chiamate per questo “lanterne cinesi” e le piante si utilizzano anche per abbellire i giardini orientali.

La pianta dell’Alchechengi è originaria dell’Europa e dell’Asia. Il nome che gli è stato attribuito deriva dalla parola araba latinizzata “al-kakang” che vuole dire proprio lanterna cinese.

Alchechengi , frutto di Physalis alkekengi

Queste bacche sono particolarmente diffuse soprattutto in Oriente ed in America latina dove si consumano frequentemente in autunno e vengono apprezzate non solo per il gusto particolare ma anche per le loro proprietà nutrizionali ed effetti benefici sull’organismo.

Alchechengi, proprietà

L’Alchechengi è un frutto particolarmente apprezzato dalla Medicina Tradizionale Cinese che lo utilizza ad esempio come rimedio naturale depurativo utile a stimolare la diuresi e quindi perfetto nel trattamento di tutte quelle patologie del corpo in cui è presente ristagno di liquidi.

Molto utile anche per le problematiche legate all’eccesso di acido urico dato che le sostanze contenute in queste bacche ne favoriscono l’eliminazione attraverso l’urina. Si utilizza in questo caso non il frutto fresco ma un estratto a base dei suoi principi attivi, più concentrato.

Grazie alla presenza al suo interno di Vitamina C e altri principi attivi che favoriscono il benessere del sistema immunitario, questi frutti sono utili anche per tenere lontani i malanni di stagione oltre che altri tipi di infezioni come le cistiti.

Come sappiamo, inoltre, questa vitamina è in grado di aiutare il corpo in caso di raffreddore, influenza, ecc. favorendo una guarigione più rapida. È per questo che l’Alchechengi può essere considerato un po’ come un’aspirina naturale. Sono inoltre emollienti, leggermente lassativi e ricchi in antiossidanti.

Ricapitolando le proprietà dell’Alchechengi sono:

  • Diuretico
  • Depurativo
  • Favorisce l’eliminazione di acido urico
  • Aiuta il sistema immunitario
  • Aiuta la guarigione in caso di raffreddore, influenza, cistite
  • Emolliente
  • Leggermente lassativo
  • Antiossidante

Alchechengi, benefici

In base alle diverse proprietà di cui dispone, l’Alchechengi può essere un buon rimedio naturale in caso di ritenzione idrica ma può aiutare anche a tenere lontani problemi di calcoli, cistite, gotta e infezioni di tipo virale.

Nell’ambito di una dieta varia ed equilibrata si possono consumare Alchechengi per rafforzare il sistema immunitario e depurare il fegato. Ricapitolando i benefici dell’Alchechengi si evidenziano in caso di:

Alchechengi, valori nutrizionali e calorie

I valori nutrizionali dell’Alchechengi sono molto interessanti. Da notare soprattutto la presenza di vitamina C che risulta essere molto più alta di quella di tanti altri frutti (ad esempio del limone).

100 grammi di Alchechengi contengono:

  • Acqua 85,4 g
  • Carboidrati 14 g
  • Proteine 2,38 g
  • Grassi 0,97 g
  • Vitamina C 11 mg

100 grammi di Alchechengi apportano circa 53 kcal al nostro organismo.

alimento funzionale ricco di nutrienti!

Come si mangia l’Alchechengi?

L’Alchechengi si può mangiare così com’è, l’importante è togliere l’involucro in cui si trovano le bacche. Le foglie che lo rivestono, infatti, non sono commestibili visto che contengono alte dosi di solanina, sostanza tossica.

Le bacche sono gialle-arancioni, non contengono molto succo e hanno un sapore un po’ acidulo che ricorda un po’ quello del pomodoro e del lampone ma anche degli agrumi. Prima di consumarle si consiglia di lavarle molto bene in particolare nella parte in alto, quella che era attaccata alla pianta, dove si potrebbe essere raccolta una sostanza resinosa.

Bisogna assicurarsi che siano di un bel colore arancione e sodi. Non devono avere ammaccature o il calice essere avvizzito. Se ben maturo il frutto si può conservare in frigo per circa 2 giorni, l’alternativa è congelarlo eliminando prima i calici.

Se invece le bacche devono ancora arrivare a completa maturazione si possono lasciare a temperatura ambiente fino a quando non diventano di un bel colore arancione.

Alchechengi in cucina

Il modo più semplice di mangiare Alchechengi è consumare le sue bacche così come sono tagliate a pezzi e magari aggiunte ad una macedonia di frutta, o ricoperte di cioccolata.

Visto il suo sapore molto particolare, potrebbe non essere semplice utilizzare l’Alchechengi in cucina. È possibile utilizzare sia le bacche fresche che quelle secche o in polvere per realizzare infusi o aromatizzare dolci.

Si presta bene a realizzare una confettura che si può poi spalmare sul pane a colazione o merenda ma che si può anche utilizzare per farcire crostate e torte. Come abbiamo già detto gli Alchechengi si sposano molto bene con il cioccolato fondente. Ecco allora una ricetta per ricoprile e farle diventare uno gustoso snack.

Non solo ricette dolci! Con queste bacche si può realizzare senza molta fatica anche un originale e particolarissimo risotto. 

Controindicazioni

A meno che non si abbiano specifiche intolleranze o allergie alle solanacee, il consumo di alchechengi non presenta grosse controindicazioni. Se si assume a scopo curativo e non se ne fa un consumo alimentare saltuario è bene chiedere consiglio al medico se si fa contemporaneamente uso di farmaci (soprattutto diuretici). Ricordiamo che le foglie che circondano le bacche non vanno mai assunte in quanto tossiche possono provocare infatti nausea, vomito, diarrea, mal di testa e altri fastidiosi sintomi.

Dottoressa Caterina Fedele – Tecnologo alimentare

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Alimentazione e Sport

Idratazione e estate

L’equilibrio idrico è molto importante per il nostro organismo ed è regolato da meccanismi di diffusione tra le cellule e l’ambiente circostante (osmosi). L’acqua è fondamentale per la “comunicazione” fra le nostre cellule, costituisce i fluidi corporei, è il mezzo per portare nutrimento agli organi ed eliminare le scorie.

Quando l’acqua nel corpo scarseggia?

Se l’idratazione è insufficiente, si ha una concentrazione maggiore di sali minerali che causa il prelievo di acqua dall’interno delle cellule con restringimento del loro volume. Questo provoca una reazione a catena che porta in contemporanea allo stimolo della sete e al risparmio di acqua da parte dei reni.

La produzione di un’urina più concentrata, porta a un costo maggiore in energia e di una maggiore usura dei loro tessuti. Di conseguenza, bere abbastanza acqua aiuta a proteggere questo organo vitale. Una scarsa idratazione può determinare l’insorgere di spossatezza, crampi muscolari e nausea.

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Quali sono i cibi più ricchi di acqua?

Moltissima è la frutta e la verdura ricche d’acqua nei mesi caldi dell’anno: cetrioli, pomodori, ravanelli, ananas, melone, anguria che oltre all’acqua forniscono minerali come potassio e magnesio.

Inoltre, in estate, sono utilissimi i frutti di bosco, ricchi di antocianine che rafforzano i capillari messi a dura prova dal caldo. Estratti e le centrifughe di verdura e frutta possono essere degli ottimi “integratori” di liquidi e concentrati di sali minerali e vitamine, ma hanno poca fibra ed è buona norma comporre i mix favorendo la verdura rispetto alla frutta per evitare gli eccessi in fruttosio.

Le altre bevande

The e caffè: ricchi di polifenoli contengono però sostanze (caffeina, teofillina) con effetto stimolante sul sistema nervoso centrale, vanno quindi moderate. Attenzione estrema agli energy drink, ricchi di caffeina, altri stimolanti come la taurina e zuccheri.

Bibite e succhi zuccherati: Dovremmo evitare non solo di aggiungere zuccheri a latte, the e caffè, ma anche di consumare bevande industriali che li contengono, spesso in grande quantità: cola, aranciata ecc..ma anche i succhi zuccherati.

Tisane ed infusi: Se senza zucchero possono essere consumati con tranquillità, a patto di non essere sensibili ai principi attivi delle piante da cui sono derivati.

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Alcolici: Sono nemici dell’idratazione, favoriscono una maggiore perdita di liquidi. Inoltre l’alcol è una sostanza tossica e cancerogena. Meglio non bere e se si beve non superare le quantità associate ad un rischio basso: un bicchiere di vino o una lattina di birra al giorno per la donna, due per l’uomo.

Va ricordato che è importante mantenere un’idratazione adeguata in qualsiasi situazione. Infatti, semplicemente respirando, si perdono tra i 250-350 millilitri di acqua al giorno. Per questo motivo bisogna tenere presenti alcuni accorgimenti:

  • È bene idratarsi con più frequenza se si verifica un aumento della sudorazione, o in caso di diarrea o vomito.
  • Bisogna fare attenzione quando si è in montagna, perché in alta quota si tende a urinare più spesso e la frequenza respiratoria aumenta.
  • Il fabbisogno di acqua aumenta durante gravidanza e allattamento, va da 2 fino a 3 litri per le donne che allattano.
  • Se si sente molto caldo, bagnare il corpo per diminuire la temperatura.

Per concludere, l’acqua non solo ha effetti positivi sulla salute e il benessere dell’organismo, ma ha anche risvolti da un punto di vista estetico: rende la pelle più liscia e conferisce forma e rigidità ai tessuti

Dott.ssa Saravo Aurora – Biologa Nutrizionista 

BIBLIOGRAFIA

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Psicologia del Benessere

Che cos’è l’Amore?

Perché l’amore è una caratteristica squisitamente umana? Perché ci innamoriamo di una persona e non di un’altra?

L’amore è prima di tutto la capacità di amare l’altro, diverso da noi in quanto altro da me.

In generale, non è possibile identificare l’amore con un’unica qualità emotiva, esiste infatti: l’amore per un figlio, l’amore per un amico, l’amore per una donna/uomo, l’amore verso Dio.


Ph Francesco Primerano ©

L’amore è incontrare l’altro e farsi incontrare in una dimensione di apertura reciproca; questo spesso diventa qualcosa di molto difficile e le relazioni d’amore sono a volte un terreno di lotta o, in alcuni momenti, un gioco tra due equilibristi: stare insieme è molto difficile e richiede anche molto coraggio.

L’Amore è sentire il proprio sentirsi attraverso e CON l’altro, avvertito come unico ed esclusivo; questa unicità di conseguenza si modella e si costruisce attraverso l’unicità della relazione stessa perché non c’è una relazione uguale all’altra (non viviamo mai due relazioni che sono uguali, anche se entrambe sono importanti e intense), e questa relazione è esclusiva proprio per i protagonisti della relazione stessa che sono, anche loro, insostituibili, come ognuno di noi.

Nell’Amore l’altro diventa il portatore di una realtà unica che io voglio conoscere e comprendere. L’esperire il Tu come persona, e non come oggetto o strumento da “usare”, il saper ascoltare e vedere il suo raccontarsi, implica da una parte l’interrogarsi sul mondo dell’altro, e dall’altra il riconoscimento e l’accettazione che l’altro è “altro da me”: l’altro infatti non è accessibile perché egli soltanto ha accesso alla sua esperienza, l’altro non è cambiabile né intercambiabile e soprattutto su di lui non posso esercitare nessun tipo di controllo o dominio.

L’amore chiede, inoltre, un altro aspetto che è fondamentale in tutte le relazioni importanti: la messa in discussione di noi stessi e di chi eravamo prima di incontrare l’altro. Ogni volta che incontro l’altro, l’altro si apre e ogni suo disvelarsi porta una nuova articolazione della mia interiorità, un nuovo racconto di me, che rinnova l’equilibrio raggiunto nella relazione e che continuamente mi mette in gioco nel processo di reciprocità a due.

Perché allora stare insieme è difficile e faticoso? Perché l’amore è avere il coraggio di cogliere e vedere la diversità dell’altro, perché in questa mia capacità di riconoscerla e preservarla io posso mettere in discussione il mio modo di vedere e interrogarmi poi sul perché l’altro guarda e sente in modo diverso da me. E tutto questo è per entrambi una possibilità di crescita personale.

Dott.ssa Aurora Sergi – Psicologa &Psicoterapeuta

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colonna
Alimentazione e Sport

Il dolore alla colonna vertebrale, una questione di…pancia!

Quanti di noi spesso hanno lamentato dolori alla nostra tanto cara amata colonna vertebrale senza trovare mai soluzioni davvero durature e definitive?

In Italia sono 6 persone su 10 a soffrire di dolori rachidei, senza distinzione tra uomini e donne e circa 15 milioni sono coloro che ricorrono alle cure medico-farmacologiche e strumentali senza, tuttavia, trovare soluzioni soddisfacenti ma soprattutto durature.

Come mai dunque? Possiamo imputare la responsabilità totale del nostro dolore alla colonna esclusivamente a quelle tanto bistrattate vertebre, protrusioni, ernie? Ma siamo proprio sicuri che siano le uniche cause e magari non abbiano complici nascosti?

Purtroppo, un approccio al dolore cronico sempre più iperspecialistico ha fatto sì che il corpo umano fosse sempre più scomposto in tanti piccoli pezzetti, dimenticandoci che manifesta la sua funzione nella sua unità, nelle sue connessioni, nelle sue interazioni.

In questo articolo voglio parlarvi di una di queste connessioni: la vostra pancia!

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Ebbene si, molto spesso, infatti, non posso che notare il profondo stupore dei miei pazienti quando spiego loro come in realtà il loro mal di schiena, per esempio, possa essere curato a tavola.

“Ma come!” Vi starete chiedendo, “Non è colpa dei miei kg di troppo, la mia cattiva postura, ma soprattutto le mie 12 ernie e 8 protrusioni?

La risposta è, come sempre, dipende!

Il Kapandji sostiene che una vertebra con un disco intervertebrale sano possa sostenere fino a 180kg di carico!

È indubbio che i sopracitati siano fattori che possano avere un ruolo nella manifestazione dei sintomi ma alzino la mano quanti di voi sanno che un colon irritabile possa essere una causa determinante per il vostro mal di schiena, o a quanti è stato spiegato come il reflusso gastroesofageo possa essere causa di dolore cervicale e/o dorsale?

Approfondiamo un attimo la questione: i nostri visceri non sono sacchetti immobili riposti in una piccola dispensa chiamata cavità addominale, tutt’altro, sono strutture che hanno una mobilità ( movimento nello spazio) e motilità ( movimento intrinseco della struttura viscerale, la famosa peristalsi per fare un esempio).

Ora, immaginate di trovarvi in autobus, magari stracolmo, e trovarvi letteralmente accerchiati da tanta di quella gente da entrare in contatto con tutti gli altri passeggeri…cosa succederà ad ogni movimento voluto e non vostro o della persona che vi è affianco? Ci sarà sicuramente una risposta della persona toccata che dovrà adeguarsi allo stimolo ricevuto. Per complicare ulteriormente la questione. Immaginate adesso che la persone con voi all’interno dell’autobus siano molto più grandi dell’autobus stesso, ma che comunque ci stiate dentro…”impossibile!!!”direte.

Ma andiamo avanti…

I nostri cari organi e visceri nella nostra cavità addominale sono numerosi; tra questi, i più importanti sono: lo stomaco, il fegato, il pancreas, la cistifellea, l’intestino, la milza, i reni, le vertebre lombari etc…

Per darvi un’idea delle dimensioni… l’intestino di un soggetto adulto ha una lunghezza di circa 7m, il fegato è la ghiandola più grande del nostro corpo con un peso tra 1 e 1,5 kg.

Ricordate l’esempio dell’autobus? Bene, adesso sostituiamo il mezzo di trasporto con la cavità addominale e i passeggeri con organi e visceri: comincia ad essere più chiaro l’enorme pressione e relazione meccanica fra contenuto (visceri e organi) e contenente (cavità addominale, di cui fanno parte anche le vertebre lombari)?

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A questo si aggiunga un dettaglio: l’esistenza di una sacca, il peritoneo, che contiene la maggior parte dei visceri della cavità addominale, e i mesi, veri e propri legamenti che collegano la parte posteriore di questa sacca alla colonna!

Senza contare gli aspetti neurologici e vascolari che tali forze stimolano e la componente metabolica infiammatoria derivante dalla qualità di ciò che mangiamo e dallo stile di vita che conduciamo.

Il risultato è un gioco di forze e di pressioni in cui il fattore determinante diventa la capacità di adattamento e compenso delle strutture interessate, ivi compresi dischi intervertebrali, vertebre, nervi, muscoli che potranno andare incontro ad infiammazione e alterazione per ridotta o saturata capacità compensatoria.

Gli esempi potrebbero essere molteplici, ma the point is che il problema del mal di schiena non è il carico, ma di come è distribuito, e quindi, iniziamo ad occuparci di cosa lo potrebbe alterare?

A voi le conclusioni…

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fragilità
Psicologia del Benessere

Fragilità

Fare i conti con le nostre fragilità non è semplice.
Non è semplice farle vedere all’altro e non è semplice per noi vederle e riconoscerle.
Il periodo storico in cui viviamo non lascia molto spazio al nostro sentirci fragili. La nostra società viene definita la società della performance o dell’apparenza: una società in cui bisogna far vedere solo l’immagine migliore di noi stessi, una realtà in cui non sono concesse sbavature, mancanze, imperfezioni, non c’è posto per ciò che “sgarbatamente” chiamiamo difetti.
Il tutto però, sta accadendo ad un caro prezzo: la nostra unicità.

Parco Nazionale del Pollino – Calabria
Ph Francesco Primerano ©

Vivere attraverso l’immagine migliore di noi stessi ci porta ad avere un’unica idea di bellezza, un’idea che vale per tutti, facilmente raggiungibile a patto che vengano rispettati alcuni criteri. Ed ecco allora che i nostri corpi in primis vengono modellati e mostrati solo attraverso determinate forme. I nostri corpi e quello dell’altro si somigliano sempre di più, le differenze vengono quasi azzerate e il bello è molto riduttivo e semplice.

Esibizione e competizione guidano le nostre giornate e continuiamo a correre verso la vittoria e verso la prossima “vetrina”.
In tutto questo non c’è spazio per le nostre debolezze, così le copriamo e le nascondiamo, e ogni volta che lo facciamo mettiamo da parte noi stessi e chi siamo.

Sono infatti le nostre fragilità a definirci, a farci sentire chi siamo, anche se spesso le vediamo come qualcosa da combattere e mettere fuori gioco.

Le nostre fragilità siamo noi.
Quando ci innamoriamo, non ci innamoriamo forse delle imperfezioni dell’altro? Quando scegliamo una persona, non la scegliamo anche per le sue debolezze?

Ferruzzano (RC)
Ph Francesco Primerano ©

Se non ci fossero le imperfezioni, non ci sarebbero differenze, non ci sarebbe distanza tra me e l’altro, non ci sarebbe quella diversità necessaria affinché ci sia una relazione.
Se non ci fossero le fragilità non ci sarebbe scelta, qualità, e scegliere una persona sarebbe come sceglierne un’altra. Tutti saremmo uguali, belli allo stesso modo, ma identici, comuni.

E allora curiamo le nostre imperfezioni e … scopriamole!

Dott.ssa Aurora Sergi – Psicologa &Psicoterapeuta

Messaggio al lettore: Ogni informazione presente in questo blog è puramente a scopo informativo. Non si intende in nessun modo sostituire figure professionali in campo medico e di consulenza.

Medicina e salute

Del vino? Sì, grazie.

Il Vino

Attualmente, con il termine “Vino”, si intende in modo esclusivo il prodotto derivante dalla fermentazione di Vitis vinifera. In passato, invece, designava tutto ciò che veniva ricavato dai processi di fermentazione degli zuccheri provenienti da: frutti, cereali e miele. In base alla legislazione vigente il nome vino è riservato ai prodotti che derivano dalla fermentazione alcolica totale o parziale dell’uva di gradazione alcolica complessiva non inferiore a 10 gradi e gradazione minima svolta di 3/5 di quella complessiva.

La cultura e la produzione delle viti è molto sviluppata nel bacino mediterraneo, in particolare: Francia, Spagna e Italia; dal momento che tale coltivazione ha bisogno di particolari esigenze climatiche. La qualità del vino dipende: dalle proprietà e dalla tipologia di uva, dal loro grado di maturazione e anche dalla natura dei terreni.

Da: inchiostrovirtuale.it

Il grappolo è formato essenzialmente da due parti: 

  • il raspo: (o scheletro) che abbonda di componenti legnosi e che viene eliminato,
  • l’acino: che a sua volta è costituito da: buccia o epidermide, semi o vinaccioli e polpa.

La parte più esterna della buccia contiene la pruina, una sostanza cerosa che ricopre l’intero acino. Essa è costituita da acido oleanolico e ha il compito di impedire l’evaporazione dell’acqua quando l’acino è maturo. Inoltre, è considerata anche l’attivatore della fermentazione.

Quando l’acino (bianco o rosso) è ben maturo, all’interno della buccia si possono trovare: acidi fenolici, flavonoli, tannini e, nelle uve rosse, gli antociani.

 Prendendo in considerazione i singoli componenti potremmo dire che:

  • Acidi fenolici: di natura benzoica e cinnamica, sono costituiti soprattutto da glucosidi ed esteri. Sono sostanze facilmente ossidabili e sono i responsabili dell’imbrunimento dei mosti bianchi.
  • Flavonoidi: sono i pigmenti gialli delle uve e si presentano sotto forma di glucosidi.
  • Tannini e polifenoli: hanno la capacità di chelare i metalli, precipitare le proteine e hanno una spiccata attività ossidante. Possono essere condensati (proantocianidine) e idrolizzabili (fondamentali per l’invecchiamento del vino nelle botti).
  • Antociani: si formano nella fase fenologica dell’invaiatura e, fino alla completa maturazione, conferiscono la tipica colorazione alle uve rosse, in funzione: del pH, dalla struttura molecolare, dalla copigmentazione.

Gli antociani sono glucosidi delle antocianidine, sono sostanze anfotere ed il loro colore dipende dal pH del mezzo in cui si trovano. Infatti, a seconda del pH potranno essere in forma di sale di:catione di flavilio (A)+ rosso, base chinonica (AO) blu, pseudo base o base carbinolica (AOH) incolore e calcone (C) giallo.

A+  AO + H+

A++OH  AOH

AOH     C

AO  A+  AOH  C

A seconda della concentrazione delle diverse forme prima indicate diremo che:

  • A pH è acido, avremo un colore dei chicchi tendente al rosso vivace
  • A pH è basico, avremo un colore dei chicchi tendente al blu o al violetto.

All’interno della buccia sono presenti, inoltre, sostanze azotate molto importanti perché sono il nutriente essenziale per i lieviti durante la fermentazione alcolica ed agiscono sulle caratteristiche organolettiche del vino. L’azoto si trova in forma ammoniacale e in forma organica (amminoacidi liberi e peptidi). Ad esempio, la prolina predomina nell’uva di Chardonnay, Carbernet Sauvignon, Merlot; mentre l’arginina ha una concentrazione interessante i nel Pinot nero.

Sono presenti anche pectine e stilbeni, i più importanti sono: il resveratrolo e la ε-viniferina con potente azione fungicida per le difese dell’acino.

Le sostanze aromatiche, idrocarburi, alcoli, esteri, aldeidi concorrono al sapore, all’odore e all’aroma specifico. L’odore è dato anche dalla presenza di terpeni; attualmente se ne distinguono 40 tipi differenti. Tutto questo permette di far comprendere la differenza tra un Moscato e un vino semplice.

La polpa è la parte più abbondante e contiene varie sostanze minerali come: potassio, calcio, magnesio e acidi organici (tartarico, malico, citrico). Gli zuccheri, in modo particolare il fruttosio, sono molto importanti perché rappresentano i precursori degli acidi organici e aromatici. La maggior concentrazione è nella porzione centrale, infatti non sono presenti in modo uniforme. Giunta a maturazione, nella polpa, troviamo anche le vitamine (gruppo B, B1 B2 B6 PP e poca C) e numerosi enzimi come le invertasi, le ossidasi, enzimi pectolitici, poligalatturonasi utili per la trasformazione finale in vino.

La vendemmia!

Rappresenta il momento di raccolta delle uve, ma anche un momento di festa e convivialità che si tramanda da secoli e generazioni. Dipende da diversi fattori come: tipologia di uva, clima, andamento delle stagioni ed è fondamentale per riconoscere il giusto equilibrio del vino. Di solito si inizia a vendemmiare da metà settembre.

La vinificazione

Si distinguono due differenti processi di vinificazione, a seconda della natura delle uve: la vinificazione in bianco (per le bianche) e la vinificazione in macerazione (per le rosse).

La sostanziale differenza è che la prima avviene in assenza di vinacce. Ai mosti, ottenuti dalla pigiatura, si aggiunge spesso l’anidride solforosa SO3 gassosa o il metabisolfito di K per l’azione sia antisettica contro i batteri lattici ed acetici, sia antiossidante e per favorire la rottura delle cellule della buccia per una migliore dispersione delle sostanze minerali, antociani, tannini in essa contenuti. La quantità che può essere aggiunta, secondo regolamentazione dell’OMS, è di circa 0,7 mg/kg peso corporeo per evitare effetti indesiderati. Il modo attraverso il quale il mosto viene trasformato in vino, per azione dei lieviti (Kloeckera apiculata e Saccharomyces cerevisiae) che trasformano gli zuccheri in alcool, anidride carbonica e altri prodotti secondari, prende il nome di fermentazione alcolica.

C6H12O6    2C2H5OH + 2CO2+ 18 Kcal

In particolare, il processo di demolizione del glucosio, prende il nome di glicolisi.

La fermentazione malo-lattonica, invece, viene utilizzata per l’invecchiamento dei vini. Un altro modo di fermentazione alternativa è la macerazione carbonica, in cui si lascia fermentare spontaneamente l’uva all’interno di grandi cisterne sature di CO2, tecnologia usata per la produzione di vini novelli.

La composizione del vino:

La natura delle varie uve, la tecnologia di vinificazione ed il processo di fermentazione ci permettono di ottenere diverse qualità di vino. Fondamentalmente i principali costituenti sono: acqua, circa il 90%, vari alcoli: alcol etilico, che è il principale prodotto del processo di fermentazione alcolica; il metilico, derivante dalla decomposizione delle pectine delle bucce, alcoli superiori, che incidono notevolmente sulle caratteristiche organolettiche del vino; come ad esempio la glicina che ne influenza la morbidezza. Gli zuccheri sono caratteristici del sapore dell’uva. Gli acidi organici, invece, determinano l’acidità totale.  Sostanze fenoliche e aromatiche ne condizionano il colore, l’aroma e la stabilità. Sono molto odorose e contribuiscono a formare il bouquet del vino. Sono presenti anche sostanze azotate, minerali, vitamine e vari gas disciolti come CO2 e SO2.

Ma quali sono i benefici di un buon bicchiere di vino?

Nel vino sono presenti tantissimi polifenoli, tra cui il resveratrolo, dotato di particolari proprietà antiossidanti, infatti, ha la capacità di rallentare il processo d’invecchiamento. Diversi studi clinici hanno dimostrato che i polifenoli riducono: il rischio di patologie cardiovascolari, lo sviluppo di tumori e i disturbi neurovegetativi. Agisce positivamente sui livelli di: colesterolo, trigliceridi, glicemia basale ed induce un aumento della sensibilità dei tessuti all’azione dell’insulina. Infatti, i benefici dei polifenoli sono legati alle loro proprietà di combattere lo stress ossidativo alla base di queste patologie. Un altro importantissimo beneficio del vino rosso è quello di proteggere il nostro apparato cardiovascolare, preservandolo dalla formazione di coaguli e rinforzando i tessuti dei vasi sanguigni. Contemporaneamente protegge il cervello dalla demenza e dalle malattie che ne riducono i processi cognitivi.

Infine, se si pensa anche alla sfera umorale, possiamo ricordare che il vino fa rilasciare le endorfine presenti nel nostro organismo, aggiungendo quel pizzico di “allegria” e benessere che lo rendono un piacere.

Nonostante tutti gli effetti benefici del vino, non bisogna esagerare con il consumo: bisogna bere con responsabilità e moderazione dato il suo contenuto alcolico!

Dott.ssa Orsola Procopio

BIBLIOGRAFIA

Cabras, P. & Martelli, A., 2004. Chimica deli alimenti. Piccin-Nuova Libraria.

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Psicologia del Benessere

Quanto è difficile essere veramente gentili?

Questo è già il terzo post della serie “Quanto è difficile…” e devo dire che piano piano stiamo snocciolando la filosofia che sta dietro al Metodo in chiave moderna e molto attuale. I concetti che si celano dietro al Metodo, sono universali, fuori dal tempo e dallo spazio e per questo validi ancora oggi, dopo 100 anni, anzi dopo migliaia di anni. Ricordo infatti che molto di ciò che è stato divulgato dal Dr Bach prende spunto dalle filosofie orientali oltre che dalla religione cristinana.

La Bibbia è intrisa di gentilezza, si trova più spesso di quanto si immagini ed anche il Dr Bach nei suoi libri riporta versetti della Bibbia per rafforzare quel che vuole insegnarci. Gentilezza è sinonimo di Amore, di Libertà e di Ascolto.

Nel libro “Voi soffrite a causa vostra” il Dr Bach ci dà una lezione di vita:

Per guadagnare la nostra libertà dal dolore e dalla sofferenza è necessario agire con squisita delicatezza, non fare mai del male ad un altro con il pensiero, la parola o l’azione. Ricordate che tutte le persone stanno lavorando per raggiungere la loro salvezza e per farlo devono acquisire le loro esperienze, conoscere le insidie del mondo e, per mezzo del loro sforzo, trovare il sentiero che porta alla vetta della montagna.

Il massimo che possiamo fare quando noi abbiamo un po’ di conoscenza ed esperienza in più rispetto ai fratelli più giovani, è di guidarli gentilmente. Se ci ascolteranno, benissimo, se non lo faranno dobbiamo aspettare pazientemente finché non avranno acquisito più esperienza per mostrargli lo sbaglio commesso, per poter così alla fine di nuovo avvicinarsi a noi.

Dovremmo sforzarci ad essere così gentili, così calmi, così pazienti nell’aiutarli, che arriveremo a muoverci tra i nostri simili come un soffio d’aria o un raggio di sole, sempre pronti ad aiutarli quando ce lo chiedono, ma senza mai imporre i nostri punti di vista.

Il Dr Bach aiutava le persone senza pretendere niente in cambio e le persone, riconoscendo i benefici che traevano dalle sue cure, lo ricompensavano con piccole somme di denaro e alimenti per il suo sostentamento. Questa non è estrema gentilezza? 

Un manuale che mi sento di consigliare è “La biologia della gentilezza”, un libro che si trova facilmente su Amazon e Ebay e parla di come lo stile di vita influisca sul nostro DNA e di conseguenza sulla salute, sul benessere e sulla longevità. Alla base c’è una grande collaborazione tra Immanulaca De Vivo e Daniel Lumera attraverso una lunga ricerca scientifica, che conferma alcune teorie ed intuizioni sulla meditazione e la pace interiore. 

Senza uscire troppo dal seminato, ricordiamo che il Dr Bach fu operato d’urgenza a 31 anni per un tumore alla milza e che gli diagnosticarono solo tre mesi di vita. Si immerse così tanto nelle sue ricerche da perdere la nozione del tempo, ritrovandosi dopo tre mesi più in forma che mai. Giunse così alla conclusione che un interesse totalizzante e un obiettivo forte nella vita sono fattori determinanti per la felicità e la salute dell’uomo.

Essere veramente gentili credo sia questo: capire che alla base della gentilezza c’è l’obiettivo di regalare liberamente gesti gentili senza condizioni, nè condizionamenti, ma con spontaneità, coscienza e consapevolezza.

Dott. Francesco ScrivoBFRP – Farmacista digital , Management della Farmacia, Medicina Funzionale Regolatoria, Comunicazione Consuasiva

Per una consulenza sui Fiori di Bach scrivimi a consigliofioridibach@gmail.com

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