Alimentazione e Sport

DCA: Disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo – ARFID

Tra i disturbi del comportamento alimentare presenti nel DSM-V è citato anche il disturbo evitante/ restrittivo dell’assunzione di cibo. Solitamente insorge durante l’infanzia, ma può svilupparsi a qualsiasi età; infatti, diversi studi esprimono range di età variegati.

Viene inserito nel Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali solo nel 2013, sebbene fosse già una condizione riconosciuta e documentata come un comportamento neofobico verso il cibo e soprattutto verso i nuovi cibi.

Photo by cottonbro on Pexels.com

Come si fa a diagnosticare tale disturbo?

Secondo il DSM-V la diagnosi di ARFID si pone quando c’è un mancato raggiungimento delle proprie necessità nutrizionali e/o energetiche, tale da determinare una o più conseguenze:

  • Significativa perdita di peso o incapacità di raggiungere l’aumento di peso atteso (crescita ponderale normale dello sviluppo)
  • Carenza nutrizionale significativa
  • Dipendenza dall’alimentazione enterale o supplementi nutrizionali orali per mantenere il peso o lo stato nutrizionale
  • Marcata interferenza con il funzionamento psicosociale

I comportamenti restrittivi influenzano notevolmente la vita sociale dell’individuo, il suo stato d’animo, le sue condizioni mediche e fisiche ed è bene evidenziare come, alla base di tale restrizione e/o evitamento, non ci sia una volontà di perdita di peso o una insoddisfazione per le proprie forme corporee.

Nell’ARFID sono stati proposti tre sottotipi:

  • Apparente mancanza di interesse per il mangiare o per il cibo a causa di difficoltà emotive come preoccupazioni, ansia o tristezza.
  • Preoccupazione relativa alle conseguenze negative del mangiare dovuta alla paura di soffocare, vomitare o stare male.
  • Evitamento sensoriale del cibo, legato alle caratteristiche sensoriali del cibo come l’aspetto, la consistenza, l’odore, la temperatura, il colore Si evitano alcuni alimenti perché, in anticipo,si pensa di non tollerare certe caratteristiche.

In molti casi questa forma di alimentazione selettiva si risolve spontaneamente nell’adolescenza, quando la pressione dei pari si associa ad un allargamento della varietà dei cibi assunti.

Photo by Ron Lach on Pexels.com

Terapia

Ad oggi diversi tipi di percorsi di cura per il trattamento dei molteplici profili di ARFID sono stati messi in atto ed altri sono ancora in fase di sperimentazione.

Sicuramente di fondamentale importanza è saper discriminare tra un comportamento alimentare selettivo definito “picky eating”, che tende a migliorare e risolversi con la crescita del bambino, da un vero e proprio disturbo di ARFID strutturato che persiste nel tempo e che compromette seriamente lo sviluppo fisico e cognitivo del bambino.

Come per tutti i DCA, anche per ARFID è necessario un approccio terapeutico multidisciplinare integrato affidato a diversi tipi di figure cliniche specializzate. Nei casi più gravi di malnutrizione è richiesta la nutrizione enterale o la supplementazione con ONS, sempre associati alla terapia cognitivo comportamentale, di cui è stata implementata una forma specifica per ARFID (CBT-AR).

Per i quadri clinici di avversione sensoriale è stato testato un programma terapeutico di integrazione sensoriale e di desensibilizzazione orale affidato a terapisti occupazionali, mentre i casi di comorbidità psichiatriche più o meno gravi o a condizioni organiche specifiche sono affidati a specialisti appositamente formati.

Photo by Spencer Stone on Pexels.com

In quest’ottica il ruolo del nutrizionista può essere fondamentale sia in caso di sospetto o conclamato disturbo alimentare, intervenendo ai primi segnali di disagio e rifiuto persistenti del bambino nei confronti del cibo con un appropriato intervento di riabilitazione nutrizionale, sia in fase di prevenzione attraverso un percorso di educazione alimentare e di sostegno alla famiglia.

Dott.ssa Martina Rella – Dietista

BIBLIOGRAFIA

Messaggio al lettore: Ogni informazione presente in questo blog è puramente a scopo informativo. Non si intende in nessun modo sostituire figure professionali in campo medico e di consulenza.

Psicologia del Benessere

Shopping terapeutico: il benessere che si cela dietro ad un acquisto

Quella voglia e quel desiderio improvviso di andare a fare shopping… quel senso di pace e soddisfazione dopo aver acquistato qualcosa, soprattutto se un indumento personale… quel senso di benessere che ci fa pensare e dire: “adesso sto proprio bene!”

In quest’articolo, vi parlerò dello Shopping Terapeutico e dei suoi benefici sulla nostra sfera emozionale.

A proposito! Se vuoi saperne di più sul “mio mondo” puoi trovarmi sui social network (Instagram) con il nome @iamfrancescoangotti. Passa a visitare il mio profilo e seguimi, sarò felice di ricambiare con piacere!

Allo stesso modo segui la pagina @pharma_addicted per essere sempre aggiornato!

Lo shopping: cos’è?

Lo shopping, ossia, il compiere degli acquisti, è una pratica ormai facente parte regolarmente e con altissima frequenza nella nostra quotidianità.

Le nostre abitudini, che siano poste attraverso il tempo dedicato al lavoro o al tempo dedicato allo svago, prevedono al loro interno, delle frazioni temporali dedicate agli acquisti, di qualcosa che vada a soddisfare le necessità personali di quel preciso istante nel quale ne sentiamo il bisogno: dal caffè, alla bevanda fresca, all’acquisto di un libro che ha suscitato la nostra attenzione, all’acquisto di un pacchetto vacanze per la propria settimana di ferie e così via.

Inconsapevolmente o forse non troppo, utilizziamo gli acquisti, come appiglio per soddisfare dei bisogni, che sulla base del grado di necessità vengono suddivisi su scala prioritaria in relazione al grado di soddisfacimento che ne consegue, proprio come suggerisce Maslow nella sua teoria gerarchica dei bisogni, sulla quale presto farò un articolo, perciò, ti invito nel voler continuare a seguirmi e seguire Pharmaddicted!

Ma perché può essere terapeutico lo shopping?

Purché non diventi compulsivo, vari studi e ricerche confermano che ricorrere allo shopping, sia un vero e proprio toccasana per il benessere psicofisico di un individuo. Inoltre, vi sono delle relazioni benefiche tra il miglioramento della propria autostima, l’abbassamento dei livelli di ansia con il ricorrere regolarmente e secondo necessità reali, all’effettuare delle compere, o perlomeno dedicare del tempo a badare alle proprie esigenze.

Un curioso studio, condotto dall’Università di Michigan, ha dimostrato come le persone che cedano alla tentazione di ricorrere a degli acquisti, rispetto ad altre che resistano allo stimolo suscitato ad esempio da qualche vetrina, siano più felici e meno stressate rispetto al secondo gruppo. Perciò, lo shopping ha benefici anche sul nostro umore, specialmente se vi si ricorre nelle cosiddette “giornate no”!

Perché è utile distinguerlo dallo shopping compulsivo

È risaputo che è sempre bene stare lontani dagli eccessi. Il giusto sta nel mezzo. Il beneficio terapeutico lo si ottiene quando, lo shopping, viene utilizzato come forma di svago ed attività con la quale si può staccare la spina dei pensieri, dalla quotidianità che a causa dei ritmi frenetici e ci espone frequentemente a fonti di stress. Ma allo stesso tempo, lo shopping non assume più le vesti di una ricorrenza terapeutica e benefica, nei casi in cui, ricorrere a degli acquisti diventa una necessità, un desiderio urgente ed irrefrenabile.

In merito a ciò esistono dei campanelli d’allarme, posti dal nostro organismo ma anche in termini di atteggiamenti, che se saputi cogliere, ci avvisano d’eventuali esagerazioni. Vediamo quali sono i più frequenti:

  • La sensazione che un nuovo acquisto sia fortemente necessario;
  • Provare invidia per oggetti appartenenti ad altre persone;
  • Pensare sempre allo shopping anche mentre si sta facendo altro;
  • Sforare continuamente il budget preventivamente posto.

Cosa dobbiamo imparare

Fonte immagine: wellwateredwomen.com

Impariamo a sensibilizzare la nostra attenzione, nel cercare di cogliere quali tipi di sensazioni e segnali giungano dal nostro interno. Cerchiamo di creare unione, tra quello che pensiamo di volere e quello che vogliamo. Ritroviamo l’equilibrio e cerchiamo di mantenerlo, facendo forza sulle relazioni ed il confronto, con le persone alle quali vogliamo bene e che ci vogliono bene. La retta via è sempre pronta ad accoglierci, sta a noi perseguirla, anche nel caso dello shopping!

A presto, con i prossimi articoli!

Dottor Francesco Angotti – Scrittore e professionista in ambito economico

Messaggio al lettore: Ogni informazione presente in questo blog è puramente a scopo informativo. Non si intende in nessun modo sostituire figure professionali in campo medico e di consulenza.

Alimentazione e Sport

Disturbi del comportamento alimentare: il binge eating disorder

Il binge eating disorder (BED) è entrato a far parte dei disturbi del comportamento alimentare nell’epoca più recente (2013), poiché in precedenza era un disturbo non largamente riconosciuto ed incluso nei NAS, ovvero i disturbi alimentari non altrimenti specificati.

Che cos’è?

Questo tipo di disturbo alimentare è caratterizzato da fenomeni di abbuffate, dove si sperimenta una perdita di controllo sul proprio comportamento alimentare, a cui non seguono meccanismi di compensazione. Questi fenomeni sono conseguenti ad un’alterata gestione delle emozioni e delle sensazioni che il soggetto sperimenta. Spesso i soggetti con questa patologia presentano un BMI (Indice di Massa Corporea) superiore alla norma, trovandosi pertanto in una condizione di sovrappeso od obesità.

Inizialmente questo tipo di disturbo si riscontrava solo in età adulta, ma studi recenti suggeriscono un esordio della malattia già in età infantile, anche a partire dai 3-4 anni. Qualora il disturbo sia così precoce, il decorso risulterà complesso e richiederà svariati interventi.

L’importanza clinica del BED è legata alla sua frequente comorbilità con l’obesità, le complicazioni del sovrappeso e i sintomi psichiatrici spesso ad esso associati come ansia e depressione, connessi alle eccessive preoccupazioni per il cibo, la forma e il peso del corpo.

Photo by Andres Ayrton on Pexels.com

Come si fa la diagnosi

Per effettuare diagnosi di BED è necessario valutare la frequenza e la durata delle abbuffate: per il DSM-5 (Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali, quinta edizione) esse si devono verificare almeno una volta alla settimana per 3 mesi, e se ne valuta la gravità sulla base del numero di episodi di abbuffate per settimana.

L’abbuffata rappresenta la caratteristica principale del BED, va però specificato che non è tanto l’eccesso nel mangiare a caratterizzarla, quanto il vissuto di perdita di controllo, inteso come “la difficoltà a controllare l’impulso ad alimentarsi, la sensazione dolorosa di fare qualcosa che non si vorrebbe fare ma che non si riesce ad evitare”. (Fairburn, 2011). I principali caratteri distintivi di tale episodio sono:

  • Sensazioni inizialmente positive, di breve durata, associate al piacere e all’apprezzamento del cibo che si gusta; seguite poi da disgusto e ribrezzo, per sé e per il cibo;
  • Grande velocità nel mangiare, ingerendo il cibo in modo meccanico, masticando appena;
  • Agitazione e stato di alterato di coscienza, come se si fosse in trance e le azioni venissero in modo automatico e incoercibile;
  • Segretezza dell’atto e furtività nello svolgerlo, accompagnato da un senso di vergogna;
  • Perdita di controllo che può instaurarsi anche molto prima di cominciare a mangiare, rendendo il fenomeno dell’abbuffata quasi impossibile da bloccare.

A seguito dell’abbuffata insorgono una serie di emozioni, spesso negative e spiacevoli, vissute con rassegnazione e con una forte autocritica.

Di base la psicologia di questi pazienti è molto complessa e l’aspetto fisico ricopre un duplice ruolo: difesa e rifugio dal giudizio altrui, ma anche approvazione sociale. L’abbuffata si colloca nel tentativo di colmare un senso di vuoto cronico, il cibo rappresenta una fonte di piacere e viene selezionato sulla base del proprio stato d’animo per regolare le emozioni: se sono negative il cibo sarà uno strumento per alleviare il dolore, se sono positive il cibo sarà una gratificazione.

Vi è poi l’instaurarsi di un circolo vizioso che comprende l’emozione negativa, l’abbuffata e la demoralizzazione, facendo si che il disturbo si mantenga sempre presente nel paziente. Circolo instaurato anche dalla sola presenza di un cibo calorico o considerato proibito, questo perché solitamente i pazienti con disturbo da alimentazione incontrollata adottano anche in maniera intermittente rigide regole dietetiche per cercare di perdere peso e di modificare la propria forma corporea. Per cui episodi di piccole “trasgressioni” da tali regole impostesi, favoriscono il pensiero del “tutto o nulla” e l’abbandono dello sforzo nel controllare l’alimentazione.

Photo by Andres Ayrton on Pexels.com

Le cause dell’insorgenza di tale disturbo possono essere svariate, sicuramente l’esposizione ad una esperienza traumatica o ad una serie di eventi drammatici può comportare il suo sviluppo.

La diagnosi viene effettuata dal medico psichiatra e la terapia è solitamente comprensiva di terapia psicologica, psichiatrica e nutrizionale. Negli ultimi anni è stato introdotto un nuovo trattamento che va  a creare strategie terapeutiche più potenti per affrontare l’eccessiva valutazione del peso e della forma del corpo, gli eventi e i cambiamenti emotivi associati che influenzano l’alimentazione e per prevenire le ricadute.

Dott.ssa Martina Rella – Dietista

BIBLIOGRAFIA

  • Disturbo da alimentazione incontrollata, che cos’è. Come affrontarlo. Riccardo Dalle Grave.
  • DSM-V
  • PISCOPUGLIA
  • “How patients descrive buliamia or binge eating.” Abraham S.F.
  • “Self-reported traumatic experiences and dissociative symptoms with and without binge-eating disorder.” Dalle Grave R.

Messaggio al lettore: Ogni informazione presente in questo blog è puramente a scopo informativo. Non si intende in nessun modo sostituire figure professionali in campo medico e di consulenza.

Psicologia del Benessere

Che cos’è l’Amore?

Perché l’amore è una caratteristica squisitamente umana? Perché ci innamoriamo di una persona e non di un’altra?

L’amore è prima di tutto la capacità di amare l’altro, diverso da noi in quanto altro da me.

In generale, non è possibile identificare l’amore con un’unica qualità emotiva, esiste infatti: l’amore per un figlio, l’amore per un amico, l’amore per una donna/uomo, l’amore verso Dio.


Ph Francesco Primerano ©

L’amore è incontrare l’altro e farsi incontrare in una dimensione di apertura reciproca; questo spesso diventa qualcosa di molto difficile e le relazioni d’amore sono a volte un terreno di lotta o, in alcuni momenti, un gioco tra due equilibristi: stare insieme è molto difficile e richiede anche molto coraggio.

L’Amore è sentire il proprio sentirsi attraverso e CON l’altro, avvertito come unico ed esclusivo; questa unicità di conseguenza si modella e si costruisce attraverso l’unicità della relazione stessa perché non c’è una relazione uguale all’altra (non viviamo mai due relazioni che sono uguali, anche se entrambe sono importanti e intense), e questa relazione è esclusiva proprio per i protagonisti della relazione stessa che sono, anche loro, insostituibili, come ognuno di noi.

Nell’Amore l’altro diventa il portatore di una realtà unica che io voglio conoscere e comprendere. L’esperire il Tu come persona, e non come oggetto o strumento da “usare”, il saper ascoltare e vedere il suo raccontarsi, implica da una parte l’interrogarsi sul mondo dell’altro, e dall’altra il riconoscimento e l’accettazione che l’altro è “altro da me”: l’altro infatti non è accessibile perché egli soltanto ha accesso alla sua esperienza, l’altro non è cambiabile né intercambiabile e soprattutto su di lui non posso esercitare nessun tipo di controllo o dominio.

L’amore chiede, inoltre, un altro aspetto che è fondamentale in tutte le relazioni importanti: la messa in discussione di noi stessi e di chi eravamo prima di incontrare l’altro. Ogni volta che incontro l’altro, l’altro si apre e ogni suo disvelarsi porta una nuova articolazione della mia interiorità, un nuovo racconto di me, che rinnova l’equilibrio raggiunto nella relazione e che continuamente mi mette in gioco nel processo di reciprocità a due.

Perché allora stare insieme è difficile e faticoso? Perché l’amore è avere il coraggio di cogliere e vedere la diversità dell’altro, perché in questa mia capacità di riconoscerla e preservarla io posso mettere in discussione il mio modo di vedere e interrogarmi poi sul perché l’altro guarda e sente in modo diverso da me. E tutto questo è per entrambi una possibilità di crescita personale.

Dott.ssa Aurora Sergi – Psicologa &Psicoterapeuta

Messaggio al lettore: Ogni informazione presente in questo blog è puramente a scopo informativo. Non si intende in nessun modo sostituire figure professionali in campo medico e di consulenza.

fragilità
Psicologia del Benessere

Fragilità

Fare i conti con le nostre fragilità non è semplice.
Non è semplice farle vedere all’altro e non è semplice per noi vederle e riconoscerle.
Il periodo storico in cui viviamo non lascia molto spazio al nostro sentirci fragili. La nostra società viene definita la società della performance o dell’apparenza: una società in cui bisogna far vedere solo l’immagine migliore di noi stessi, una realtà in cui non sono concesse sbavature, mancanze, imperfezioni, non c’è posto per ciò che “sgarbatamente” chiamiamo difetti.
Il tutto però, sta accadendo ad un caro prezzo: la nostra unicità.

Parco Nazionale del Pollino – Calabria
Ph Francesco Primerano ©

Vivere attraverso l’immagine migliore di noi stessi ci porta ad avere un’unica idea di bellezza, un’idea che vale per tutti, facilmente raggiungibile a patto che vengano rispettati alcuni criteri. Ed ecco allora che i nostri corpi in primis vengono modellati e mostrati solo attraverso determinate forme. I nostri corpi e quello dell’altro si somigliano sempre di più, le differenze vengono quasi azzerate e il bello è molto riduttivo e semplice.

Esibizione e competizione guidano le nostre giornate e continuiamo a correre verso la vittoria e verso la prossima “vetrina”.
In tutto questo non c’è spazio per le nostre debolezze, così le copriamo e le nascondiamo, e ogni volta che lo facciamo mettiamo da parte noi stessi e chi siamo.

Sono infatti le nostre fragilità a definirci, a farci sentire chi siamo, anche se spesso le vediamo come qualcosa da combattere e mettere fuori gioco.

Le nostre fragilità siamo noi.
Quando ci innamoriamo, non ci innamoriamo forse delle imperfezioni dell’altro? Quando scegliamo una persona, non la scegliamo anche per le sue debolezze?

Ferruzzano (RC)
Ph Francesco Primerano ©

Se non ci fossero le imperfezioni, non ci sarebbero differenze, non ci sarebbe distanza tra me e l’altro, non ci sarebbe quella diversità necessaria affinché ci sia una relazione.
Se non ci fossero le fragilità non ci sarebbe scelta, qualità, e scegliere una persona sarebbe come sceglierne un’altra. Tutti saremmo uguali, belli allo stesso modo, ma identici, comuni.

E allora curiamo le nostre imperfezioni e … scopriamole!

Dott.ssa Aurora Sergi – Psicologa &Psicoterapeuta

Messaggio al lettore: Ogni informazione presente in questo blog è puramente a scopo informativo. Non si intende in nessun modo sostituire figure professionali in campo medico e di consulenza.

bulimia nervosa
Medicina e salute

Disturbi del comportamento alimentare, la bulimia nervosa

La bulimia nervosa è una patologia che afferisce ai disturbi del comportamento alimentare ed appare per la prima volta nel manuale diagnostico dei disturbi mentali nel 1980, grazie ai criteri descritti da Gerald Russell in un articolo intitolato “Bulimia nervosa: an ominous variant of anorexia”. In questo studio prospettico sono stati selezionati 30 pazienti utilizzando due criteri principali:

  • Un incontenibile bisogno di mangiare oltre le proprie necessità, seguito da condotte eliminatorie, come vomito autoindotto o uso di lassativi;
  • Una considerevole paura di essere grassi.

Per la prima volta viene conferito un nome a questa patologia già largamente diffusa; infatti, ad oggi in Italia è stimata in almeno 12 nuovi casi per 100.000 persone in un anno per il genere femminile e di circa 0.8 nuovi casi per 100.000 persone in un anno per il genere maschile.

I criteri diagnostici di bulimia nervosa si sono modificati nel tempo e sono ora definiti dal DSM-V (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali):

  • Ricorrenti episodi di abbuffata, dove per abbuffata si intende il mangiare per un periodo di tempo circoscritto (ad esempio nell’arco di tre ore), una quantità di cibo che è considerevolmente maggiore rispetto a quella che la maggior parte della popolazione consumerebbe nello stesso tempo e in circostanze simili. Consumo accompagnato dalla sensazione di perdita di controllo durante l’episodio, per cui non si riesce a smettere di mangiare o a controllare quanto e cosa si stia mangiando;
  • Ricorrenti condotte compensatorie a seguito dell’abbuffata, che hanno lo scopo di prevenire l’aumento di peso, come vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici o altri farmaci, digiuno o estrema attività fisica;
  • Le abbuffate e le condotte compensatorie si verificano entrambe almeno una volta a settimana per tre mesi;
  • I livelli di autostima sono chiaramente influenzati dalla forma e dal peso del corpo.

La bulimia possiede dei livelli di gravità sulla base del numero di episodi di condotte compensatorie per settimana:

  • Lieve: in media 1-3 episodi di condotte compensatorie per settimana;
  • Moderata: in media 4-7 episodi di condotte compensatorie per settimana;
  • Grave: in media 8-13 episodi di condotte compensatorie per settimana;
  • Estrema: in media 14 o più episodi di condotte compensatorie per settimana.

Svariati sono gli effetti collaterali che possono conseguire a questa patologia, sia dal punto di vista sociale, che personale e più prettamente medico. Le conseguenze fisiche della bulimia possono portare a squilibri elettrolitici, derivanti dal vomito autoindotto e dall’uso di lassativi, che possono evolvere sino alla comparsa di aritmie cardiache, arresto cardiaco e anche alla morte. Sempre la stessa causa può anche creare traumi nella cavità orale, come tagli alle mucose e alla gola, erosione dentale, infiammazione dell’esofago e reflusso gastrico cronico, con possibile comparsa di ulcere peptiche. Un segno abbastanza distinguibile nei soggetti bulimici è il segno di Russell: una callosità o delle lesioni sulle nocche o sul dorso della mano, dovuta al ripetuto tentativo di indurre il riflesso del vomito.

La cause di insorgenza di tale disturbo sono svariate e multifattoriali,  vi potrebbe essere una predisposizione genetica, dei fattori sociali che incrementano il rischio come uno scorretto prototipo di bellezza-magrezza proposto dai mass media, dei fattori scatenanti come abusi o traumi, cambiamenti di vita importanti, problemi familiari e interpersonali, il tutto associato anche ad una scarsa autostima e insoddisfazione del sé, con una difficoltà nel riconoscere e comunicare le proprie emozioni.

La diagnosi di bulimia nervosa è appannaggio del medico psichiatra e la cura è su base multidisciplinare: l’insieme di più figure professionali dedicata alla cura del soggetto, può comportare un serie di esiti positivi.

Dott.ssa Martina Rella – Dietista

BIBLIOGRAFIA

  • DSM-V, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali
  • BULIMIA NERVOSA: AN OMINOUS VARIANT OF ANOREXIA NERVOSA- G. Russell
  • MINISTERO DELLA SALUTE

Messaggio al lettore: Ogni informazione presente in questo blog è puramente a scopo informativo. Non si intende in nessun modo sostituire figure professionali in campo medico e di consulenza.

Medicina e salute

Disturbi del comportamento alimentare: l’anoressia nervosa

L’anoressia nervosa è uno dei disturbi del comportamento alimentare ed è caratterizzata da un’alterata percezione della propria immagine corporea, tale da influenzare tutto lo svolgimento della propria vita.

Il termine greco dal quale deriva la parola anoressia non è effettivamente esplicativo di tale condizione: “anorexia = mancanza di appetito” infatti, non descrive la vera condizione che affligge le persone con tale disturbo.

I soggetti con anoressia hanno continui pensieri e preoccupazioni circa il controllo del cibo ingerito e del proprio corpo, strumento che viene percepito come necessario per l’affermazione del sé nella società. Anche la stessa autostima è strettamente correlata all’autocontrollo e alla perdita di peso, considerata una vittoria ottenuta grazie al rigido controllo.

Spesso chi soffre di anoressia nervosa è anche estremamente perfezionista e ambizioso, mai soddisfatto del risultato ottenuto. Il bisogno di approvazione diviene poi costante, anche in relazione al proprio corpo; infatti, i complimenti ricevuti circa la perdita di peso, non sono che fattori di mantenimento del disturbo stesso.

Photo by Nita on Pexels.com

I criteri diagnostici dell’Anoressia Nervosa secondo il DSM-V (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) sono:

  • Restrizione dell’apporto energetico rispetto al necessario con un peso corporeo significativamente basso tenendo conto dell’età, del sesso, della storia evolutiva e dello stato di salute fisica;
  • Intensa paura di ingrassare e assunzione di un comportamento atto al mantenimento della perdita di peso;
  • Alterazione della propria percezione corporea e del proprio peso, con un’eccessiva influenza di questi fattori sui livelli di autostima e conseguente negazione della propria condizione.

Vi sono poi dei sottotipi di anoressia:

  • Tipo restrittivo: assenza negli ultimi 3 mesi di crisi bulimiche o condotte di eliminazione, come vomito autoindotto, uso di lassativi, diuretici o estrema attività fisica.
  • Tipo con condotte di eliminazione.

Va inoltre specificato il grado di gravità della malattia, basandosi sul valore del BMI, ovvero l’indice di massa corporea, il cui valore inferiore a 15kg/m^2 identifica un livello estremo di gravità.

Le complicanze mediche nel quale si può incorrere a seguito di tale condizione sono legate alla perdita di peso e possono interessare vari aspetti, da quello metabolico come uno squilibrio elettrolitico, a quello neurologico, determinato da atrofia cerebrale e crisi epilettiche.

Ci possono essere complicanze cardiovascolari per un rallentamento del ritmo cardiaco e una diminuzione della pressione arteriosa; complicanze gastrointestinali legate al minimo introito alimentare, al consumo di diuretici e lassativi e al ricorso al vomito autoindotto, che si traduce in una erosione dentale, un ingrossamento delle ghiandole parotidi, delle esofagiti e delle gastriti.

Photo by EVG Kowalievska on Pexels.com

L’Anoressia Nervosa può avere un decorso anche molto lungo, con periodi di recessione e ricadute e il più delle volte assume un andamento cronico.

Ad oggi la terapia migliore per il trattamento di tale condizione consisterebbe in un approccio multidisciplinare, con l’intervento di più figure professionali che si dedichino totalmente alla cura della persona affetta da tale condizione: supporto psicologico, psichiatrico e dietetico, così da garantire un ascolto e un supporto a 360°.

Dott.ssa Martina RellaDietista

BIBLIOGRAFIA

  • DSM-V
  • SOCIETA’ ITALIANA DI PSICOPATOLOGIA DELL’ALIMENTAZIONE
  • HTTPS://WWW.SALUTE.GOV.IT

Messaggio al lettore: Ogni informazione presente in questo blog è puramente a scopo informativo. Non si intende in nessun modo sostituire figure professionali in campo medico e di consulenza.

Psicologia del Benessere

L’inevitabilità del cambiamento

La nostra vita è costantemente in divenire, in transizione, in evoluzione. La vita è un cambiamento continuo e vivere ed esistere significa fare i conti continuamente con questo divenire. La vita stessa è un divenire. 

In tempi angoscianti e incerti come quello che stiamo vivendo ora da quando è iniziata la pandemia, o anche quello che abbiamo vissuto qualche anno fa con la crisi economica, proviamo quasi disperatamente a cercare punti di riferimento duraturi, stabili, auspicabilmente immobili. Ma a volte ci sfugge che ciò che caratterizza la nostra vita e la rende tale è l’inevitabilità del movimento, sempre e comunque, anche dentro e a prescindere da quelle piccole stabilità quotidiane che cerchiamo e costruiamo con cura.

Bova (RC)
Ph Francesco Primerano ©

Il cambiamento però fa paura. Il cambiamento spesso ci paralizza e ci porta a costruire racconti di noi che non sempre sono autentici, racconti che a lungo andare possono diventare una vera trappola, una trappola costruita da noi stessi e dalla nostra resistenza al cambiamento. 

Il cambiamento in genere presuppone una scelta e il coraggio di decidere. E scegliere spesso non è semplice perché la scelta ci espone all’altro e presuppone di lasciare o rinunciare a qualcosa, spesso a qualcuno.

Il cambiamento è guidato o bloccato dalla nostra emotività: spesso, infatti, ha a che fare con le nostre fragilità e contemporaneamente con il nostro essere coraggiosi e autentici. Quando decidiamo di cambiare facciamo i conti con le nostre debolezze, ci mettiamo in discussione per comprenderle e comprendere poi che sono quelle a renderci unici.

Il cambiamento è necessario per riconoscersi e riconfermarsi ogni volta.  

Gallicianò (RC)
Ph Francesco Primerano ©

E allora forse, ogni crisi, politica, sociale, personale che sia, si può comprendere e “risolvere” solo a partire dalla considerazione che di fisso, certo e stabile vi è solo il cambiamento e il coraggio di vederlo, sceglierlo e viverlo.

Dott.ssa Aurora Sergi – Psicologa &Psicoterapeuta

Messaggio al lettore: Ogni informazione presente in questo blog è puramente a scopo informativo. Non si intende in nessun modo sostituire figure professionali in campo medico e di consulenza.

Psicologia del Benessere

Il tempo ai tempi del coronavirus

Dublino, Irlanda
©Francesco Primerano

Il tempo durante il Coronavirus si è fermato, bruscamente, improvvisamente, indefinitamente.

Heidegger diceva che la temporalità è il senso più profondo dell’Esserci per noi uomini, consapevoli di dover morire. Questo essere-per-la-morte ci rende diversi da qualsiasi altro animale. L’uomo, infatti, può relativizzare ogni possibilità della sua esistenza, rendendola finita. Ed è grazie a questo processo che riesce a comprendere ed assumere consapevolmente queste possibilità esistenziali senza irrigidirsi, né rimanere incastrato in nessuna di esse. 

La pandemia ha fermato tutto: per diversi mesi tutto ha subìto un arresto forzato, non previsto, non programmato. E noi non eravamo pronti, nessuno di noi era pronto. Eppure, chi con grandi sforzi e rinunce, chi con naturalezza e anche, sì, un leggero piacere, ci siamo ricollocati in una quotidianità fatta di nuovi spazi, nuove azioni, nuovi modi di relazioni e, soprattutto, scandito da un nuovo tempo. 

Riorganizzare il tempo

Riorganizzare le giornate ha significato prima di tutto rivedere il tempo del lavoro. Processo che non ha risparmiato nemmeno la psicoterapia: terapeuti e pazienti, tutti abbiamo dovuto abbattere le nostre resistenze e adattarci ad una nuova modalità di stare in relazione, immaginata come fredda, meccanica, distante, rallentata: la smart therapy.

L’inizio non è stato facile per nessuno, e molti pazienti hanno iniziato più per rassegnazione che per vero interesse. Alla mia proposta di proseguire con la smart therapy molti hanno risposto “Piuttosto che rinunciare completamente, preferisco provare …”. E ci abbiamo provato. Ci abbiamo provato volta dopo volta, incontro dopo incontro, lasciando che qualcosa di inatteso emergesse: una nuova narrazione individuale del tempo. 

Il tempo sospeso

Mi sembra di vivere la mia vita in sospensione, senza capire come le mie giornate riescano comunque a passare”.

Il tempo sembra aver assunto in questi mesi di pandemia, un nuovo ritmo, artificiale, artefatto, lento e sconosciuto ed è come se non riuscissimo a far andare d’accordo la nostra esistenza con questa nuova percezione del tempo: sembra mancare l’armonia tra il nostro tempo interiore e il tempo esterno, quello del mondo. Ed ecco emergere l’esperienza dell’essere sospesi tra questi due tempi che non riescono più ad andare insieme.

Il tempo rubato

Non riesco a fare programmi perché non sappiamo quello che potrà succedere domani o fra qualche giorno, e se bloccano di nuovo tutto?”. 

Il coronavirus ha rubato la nostra progettualità, ci ha obbligato a fare una cosa che non siamo in grado di fare essendo sempre gettati nel mondo e nelle nostre possibilità (Heidegger, Essere e tempo, 1927): stare nel qui ed ora, in quel presente immediato e vicino programmando la giornata e pensando a domani solo domani stesso.

E infine, il tempo stringe

Il tempo stringemai come adesso sento che devo darmi una mossa”.

Se da una parte vi è la sensazione che il tempo sembri non passare mai, in attesa della fine della campagna vaccinale che sancirà (forse) la fine della pandemia, dall’altra ci accorgiamo che il tempo, com’è ovvio che sia, scorre inesorabile. Ma, rispetto a prima, è come se facessimo esperienza di un tempo che scorre più velocemente, un tempo che quasi ci costringe a fare i conti con noi stessi, a prendere decisioni rimandate da tempo, a esporci confessando a qualcuno ciò che sentiamo da tempo, a lasciare e chiudere situazioni che non ci appartengono più.

Aspromonte, Calabria
©Francesco Primerano

Un nuovo modo di essere nel mondo

Ma qualunque sia stata e sia ancora l’esperienza di questo tempo, qualunque sia stato il modo in cui abbiamo vissuto questa crisi di portata mondiale, forse il punto è che per ognuno di noi tutto questo potrebbe essere un’occasione, una possibilità per fare un’esperienza nuova di noi: del vuoto, delle mura domestiche, del nostro incontro con l’altro, della noia, del mondo e del tempo, e quindi anche del nostro essere nel mondo, del nostro esserci.

Aurora Sergi

Psicologa, Psicoterapeuta

Psicologia del Benessere

Quanto è difficile parlare liberamente?

Dalla biografia del Dr Bach by Nora Weeks:

Il Dr Bach aveva un carattere dai molteplici aspetti: era estremamente gentile e compassionevole, ma era anche dotato di molta forza, determinazione e di un idealismo profondamente pratico, era facile alla rabbia ma anche pronto a dimenticare. E quando le cose andavano male era capace di restituire la fiducia in se stessi.

Ma la vera definizione del suo modo di essere può essere riassunta in una sola parola: naturalezza. Sempre, in qualsiasi occasione e indipendentemente da dove fosse o con chi, era totalmente e completamente se stesso.

Non aveva paura di poter urtare la sensibilità di qualcuno se sapeva di dire la verità, ma non sprecava tempo e parole per esprimere le sue personali opinioni sugli altri, dimostrando una profonda e costante coerenza con se stesso.

Il Dr Bach subì anche le conseguenze del suo operato e del suo modo così diretto di esporsi. Ad esempio quando pubblicò un annuncio nel quale faceva sapere che esistevano erbe di grande valore curativo e che avrebbe fornito informazioni su richiesta. Quell’annuncio scatenò un’azione disciplinare da parte dell’Ordine dei Medici e fu quasi radiato dall’albo.

Quanti farebbero una cosa del genere? Mettere in discussione tutto per i propri ideali? Ci piace pensare che alcuni blogger, youtuber, instagramer abbiano fatto quel passo. Forse è più facile mollare tutto, se si ha alle spalle una situazione economica che permetta di farlo. Forse è più facile farlo platealmente, ottenendo supporto dagli altri ad esempio sui social.

Nella bilancia del dare/avere, il Dr Bach scelse di dedicare la sua vita agli altri e il suo totale disinteresse per i beni materiali fece sì che vivesse in povertà tutta la vita. E a chi gli rimproverava di non curarsi del suo aspetto, lui rispondeva che se la gente desiderava conoscerlo doveva accettarlo per quello che era, se invece desiderava conoscere un vestito, lui stesso sarebbe stato lieto di spedirgliene uno.

Quanto è difficile parlare liberamente? Ogni volta che parliamo con una persona, cambiamo tono, modalità, lessico e lo facciamo in base all’intenzione, magari finalizzato ad un obiettivo che vogliamo raggiungere. A volte bisogna sembrare più preparati, a volte bisogna far finta di saperne un po’ meno…

Siamo noi a decidere quello che diciamo, come lo diciamo e perché lo diciamo. Ci lasciamo così condizionare dalle situazioni, dalle persone, dai ruoli, dalle convenzioni ed essenzialmente da noi stessi. La condizione cui ci sottoponiamo è ad esempio “come la prenderà se dicessi questa cosa in questo modo?” Implica due cose: abbiamo paura di mettere in crisi l’altra persona mossi da uno spirito altruista oppure abbiamo paura di possibili ripercussioni e questo denota egoismo o spirito di conservazione, a salvaguardia della propria incolumità.

La terza opzione è acquisire sempre più consapevolezza del proprio io, maggiore fiducia in se stessi e una tranquilla naturalezza nel disquisire con gli altri. Non dobbiamo avere paura di perdere l’altra persona se siamo sinceri e diretti.

Se non ce la facciamo, ascoltiamoci, individuiamo il problema, dimentichiamocene perché ormai è andato, non serve rimuginarci su, e cerchiamo invece di sviluppare la virtù opposta. I Fiori possono sempre venire in aiuto.

Dott. Francesco Scrivo – BFRP – Farmacista digital – Management della Farmacia – Medicina Funzionale Regolatoria – Comunicazione Consuasiva

Per una consulenza sui Fiori di Bach scrivimi a consigliofioridibach@gmail.com

E se hai piacere segui il mio profilo Instagram https://www.instagram.com/consigliofioridibach/ 

Infine il mio profilo LinkedIn http://linkedin.com/in/francesco-scrivo-2863a8b2

Messaggio al lettore: Ogni informazione presente in questo blog è puramente a scopo informativo.
Non si intende in nessun modo sostituire figure professionali in campo medico e di consulenza.